La Parete Nord

un ricordo del partigiano Tita Secchi

[narratore] Il 25 Agosto del 1944, verso le sette della sera, a Parigi, il Generale Charles de Gaulle sta improvvisando uno dei suoi discorsi più belli; è entrato da poche ore nella capitale dopo averla liberata, con l’aiuto degli alleati, d’accordo. Ma lui è entrato per primo, è stato accolto come un trionfatore, come un eroe nazionale e da quel momento diventerà un padre per i francesi e per quella… Parigi. Parigi oltraggiata, Parigi spezzata, Parigi martirizzata, ma Parigi liberata.
Il 25 Agosto del 1944, verso le sette della sera, Adolf Hitler è nella tana del lupo, il quartier generale di Rastenburg, nella Prussia Orientale; è tornato da poche ore dalla passeggiata con il suo fedele cane Blondie. I gerarchi lo hanno visto apparire dalla nebbia e dalla folta vegetazione di quel luogo tetro, subito gli si sono fatti incontro: brutte notizie anche oggi; prima la dichiarazione di guerra della Romania, poi la necessità di ritirarsi dalle isole dell’Egeo, e ora la liberazione di Parigi. Le riunioni proseguiranno fino a notte inoltrata e altre pessime notizie seguiranno…
Il 25 Agosto del 1944, verso le sette della sera, Wiston Churchill è a Montemaggiore, in segreto; con i generali Alexander e Leese si reca dietro le mura del paese a osservare lo schieramento delle artiglierie in battaglia. Poi, seduti su una panca discutono, ragionano e scattano fotografie, tra gli sguardi incuriositi della gente del posto:
Quale?
Quello!
Quale “quello”?
Quello in mezzo
Ma dai… quello?!
Ti dico che è Churchill quello
Quello – scriverà poi Churchill in un suo diario - fu il punto più vicino alla linea del nemico in cui mi accadde di arrivare durante la seconda guerra mondiale.
Sono gli ultimi preparativi per la grande offensiva alla linea gotica, che scatterà la notte stessa e che giungerà all’alba nella tana del lupo, come l’ultima pessima notizia della giornataccia di Adolf di Hitler.
Il 25 agosto del 1944 è un venerdì .
Se un mattino tu verrai
fino in cima alle montagne
troverai una stella alpina
che è fiorita sul mio sangue.
Per segnarla c'è una croce,
chi l'ha messa non lo so.
Ma è lassù che dormo in pace
e per sempre dormirò.
Ma è lassù che dormo in pace
e per sempre dormirò.
Tu raccogli quella stella
che sa tutto del tuo amore,
sarai l'unica a vederla
e a nasconderla sul cuore.
Quando a sera sarai sola
non piangere perchè
nel ricordo vedrai ancora
tu e la stella insieme a me.
Tu e la stella insieme a me.
 [narratore] Quel venerdì, verso le sette della sera alla Baita del Paio, una cascina nascosta a quota 1244 tra la Val Trompia e la Val Sabbia, un gruppetto di otto partigiani, o come li chiamavano alla questura di Brescia, un gruppo di otto banditi della Valle del Caffaro si sta preparando… per la cena.
Dentro alla Baita, Tita Secchi sta costruendo un tavolino con Andrea Franchi, mentre il fratello di Andrea, Aldo, pulisce il riso da mettere in pentola; giù nello strame, una gamba gonfia che gli dolora, c’è il Rigo, un biondino di 18 anni, delle parti di Riva; con lui Dino e il Bresa gli stanno controllando la ferita.
Dicono che – bisogna disinfettarla. Stanotte andiamo a Bagolino a cercare qualcosa, d’accordo? –
Fuori, a due passi, il più giovane e il più  vecchio del gruppo stanno di sentinella. Oggi è il compleanno del vecchio Hermann, è un tedesco, disertore dalla Wermacht. Vecchio… 34 anni e una guerra che non finisce più sulle spalle. Il giovane invece si chiama Celestino Cressoni, detto il Bocia, o anche il giovane poeta, perché scrive poesie… ma per i suoi quindici anni a volte lo chiamano Il Balilla.
 [Tita] A proposito, è passata la Vitalina stanotte?
 [narratore] Questa è la voce di Tita, che esce dalla baita e va dritta dritta alle orecchie del Balilla.
 [Balilla] Quando si attende l’arrivo della Vitalina Mora vuole starci lui, il Balilla, di sentinella. La Vitalina è una ragazza di sedici anni, fa la cuoca dagli Zanetti, sopra S. Rocco ed ora è anche staffetta assieme alla Pasquina e alla Graziosa.
 [narratore] Un po’ rosso in volto il giovane si congeda da Hermann e raggiunge la baita .
 [Balilla] è passata
 [Tita] be’? Cos’ha portato? – gli domanda Tita
 [Balilla] Niente viveri stanotte, l’hanno fermata i tedeschi e li ha mollati appena in tempo.
 [Tita] Ha detto qualcosa?
 [Balilla] Il biglietto della Monte Suello l’ha dovuto ingoiare. Ha detto ai tedeschi che andava dal padre, in valle Dorizzo. Ha detto anche che di tedeschi ce n’è sempre di più giù a Bagolino .
 [narratore] Da qualche tempo era nell’aria un rastrellamento dei tedeschi. Spesso, nei momenti in cui il pericolo si percepiva più vicino, gli altri ragazzi avevano chiesto a Tita chi glielo avesse fatto fare a lui, di salire in montagna. Lui che avrebbe potuto restare comodamente nascosto in mezzo ai piò della Bassa in attesa degli Alleati, invece di rischiare la pelle al comando di una brigata partigiana. Ora è il Rigo a fargli questa domanda. Gli dice:
 [Rigo] Tita, la Repubblica ha chiamato tutte le classi dal ’14 al ’26, meno la tua, il ’15. Ma chi te l’ha fatto fare?
 [narratore] E Tita:
 [tita] Eh, lo so, volevano lasciarmi tranquillo loro. Non sai che fatica a trovare la scusa da prendere per dire ai miei che andavo in montagna. Sai, mi capita ogni tanto, quando resto troppo tempo in città; è come se le montagne mi chiamassero, mi pare di sentire il mio nome ripetersi lungo le vallate, risuonare e allontanarsi verso le cime che amo di più. Come se mi chiamassero per sfidarle. A quanto pare stavolta mi hanno chiamato per altre faccende.
 [narratore] È così lui. Ci scherza anche sopra, poi però si fa serio, guarda di nuovo il Rigo e gli dice:
 [tita] Credimi, io sono antimilitarista, ma sono disposto a fare dieci anni di dura vita militare pur di vedere puniti e sconfitti i nazisti e tutte le altre serpi. A tavola, forza…
 [narratore] Finita la cena il sole se n’è andato da un pezzo; Dino e il Bresa come promesso partono per Bagolino assieme a Giordano, che è un partigiano di un altro gruppo che li ha raggiunti.
Alla Baita del Paio è quell’ora della sera in cui c’è troppo buio per quei “lavoretti” che si fanno in montagna, chessò, taglia la legna, sistema una porta che non chiude, vai a prendere l’acqua al ruscello, ma è ancora troppo presto per andare a dormire.
Non è rimasto un grano di riso nella pentola e il tavolino nuovo ha retto alla perfezione. Ah, per la notte non si aspetta la Vitalina, dunque non ci sta Celestino di sentinella, no, tocca ai fratelli Franchi.
Insomma, è quell’ora della sera in cui… che si fa? Ci si raduna, si sta tutti insieme, magari vicino al fuoco e succede sempre che qualcuno comincia a raccontare.
Chissà cosa si saranno raccontati quella sera quei sei partigiani, l’ultima sera trascorsa insieme; non lo so. Però mi piace immaginare che sia stato Tita a raccontare. Il loro capo… o meglio, il loro punto di riferimento. Lo immagino seduto accanto al fuoco seguire il movimento della fiamma. E lo immagino che chiama i compagni e dice:
 [Tita] Ehi ragazzi, guardate un po’…
 [altri] Cosa? Che c’è Tita?
 [Tita] Sembra che la fiamma stia parlando
 [altri] Cosa?!
 [Tita] … come se ci chiamasse
 [altri] ma dai Tita, smettila…
 [Tita] Sì, sembra che racchiuda i canti dei ruscelli, il silenzio dei boschi
 [Narratore] e chissà, d’un tratto la fiamma… [soffia e fa il gesto del fuoco alimentato dal vento]
 [Tita] … e la furia dei venti!
 [altri] accidenti, ha ragione! Avete visto?  
 [Narratore] E allora Hermann, il Balilla e il Rigo si chiudono intorno Tita, quel ragazzo di ventotto anni con il cappellaccio sempre in testa, la barba bionda che diventa d’oro sulla carnagione cotta dal sole, il fisico e il fascino dell’atleta, un lampo chiarissimo i suoi occhi e dentro agli occhi, quella fiamma.
 [Tita] Sapete una cosa ragazzi? Ascoltando queste voci che escono dalla fiamma, mi torna alla mente preciso un episodio del passato.
 [Narratore] Ed ecco che comincia a raccontare… 
 [Tita nar] È l’ora del tramonto, un paio d’anni fa, a Pontedilegno. Io e il mio amico Gianni siamo a tavola, nella sala di un albergo, sommersi dalle chiacchiere dei villeggianti, ma non ci curiamo di loro, pensiamo ad altro. Sarebbe nostra intenzione per l’indomani fare, come dice lui, argutina.
 [Gianni] Tita, se questa sera il tempo non peggiora, partiamo.
 [Tita nar] L’argutina di Gianni significa scalare la parete Nord dell’Adamello con partenza da Pontedilegno e ritorno;
 [Gianni] …tutto nelle ventiquattr’ore di domani.
 [Tita nar] Finita la cena ci avviciniamo alla finestra e guardiamo il cielo. Il tempo non peggiora.
Due ore dopo, a mezzanotte, siamo in partenza. Passiamo giù nella sala con zaini, piccozze e tutti gli attrezzi; i villeggianti, gli stessi della cena, sono sdraiati sulle poltrone: leggono riviste, ascoltano un po’ di musica e ci guardano con aria compassionevole. Ma noi non ci curiamo di loro… pensiamo ad altro. Noi proseguiamo e usciamo dall’albergo .
L’aria fresca della notte mi fa balenare alla mente l’idea che il giorno che sta per nascere potrebbe diventare uno dei più belli della mia vita.
Gianni cammina silenzioso di fianco a me con un passo piuttosto veloce. Io per passare il tempo faccio l’inventario di ciò che pesa sulle mie spalle: parecchi chiodi e moschettoni, piccozza, ramponi, corde e cordini; tutto ciò che serve per forzare le serrature più segrete di quella maledetta benedetta montagna.
Andiamo su per la mulattiera nel bosco; si sente un profumo di resine e di legna tagliata da poco; camminiamo sopra un tappeto di cortecce, piccoli ramoscelli e segatura.
Per essere di ritorno stasera bisogna trottare: e allora aumentiamo il passo. Incontriamo una bestia, poi un’altra, poi un’altra ancora e nell’oscurità sembrano grosse pietre sull’erba. Iniziamo il ripido sentiero che porta su ai laghi
 [Tita] Ormai la malga non dovrebbe essere lontana, eh Gianni?
È incredibile quanto cammino si faccia di notte senza avvedersi della fatica; superiamo in breve tempo questo tratto che alla luce del giorno sembra non finisca mai e all’improvviso dall’ombra ci appare il lago, con la sua colossale diga che sembra un fantasma che esce dalla massa scura dell’acqua. Qui Gianni per la prima volta apre bocca, dice:
 [Gianni] Prima tappa.
 [Tita nar] “Oh Gianni, sono contento che ci fermiamo un attimo, non che sia stanco…” ma vedo che Gianni continua a camminare lungo il sentiero che costeggia il lago.
 [Tita] Dove ci fermiamo, Gianni?
 [Tita nar] Si gira e mi fa…
 [Gianni] Prima tappa… morale. Tita. Lo so, qui di solito ci si ferma sempre. Oggi non c’è tempo, vedi? Son già le quattro e la parete è ancora lontana. Forza, andiamo…
 [Tita nar] Ma sì, ha ragione lui, meglio continuare .
La prima tappa dev’essere lassù, al rifugio, dove potremo guardare la nostra parete e studiare la via da prendere.
Quando le prime luci dell’alba cominciano a cancellare le stelle in quel cielo azzurro pallido, ad una svolta del sentiero…
… spunta la cima. Avanziamo ancora un po’ e appare tutta la parete ovest, come un libro aperto. La Nord si vede di profilo come un libro chiuso.
Davanti a noi tutto un ergersi di grandi massi grigiastri, ammassamenti di rocce, lastroni infranti, sfasciumi di pietre. Ogni pietra sembra l’ultima, ma poi ce n’è un’altra, ce n’è sempre un’altra. Fino a quando finalmente, dietro ad un masso appare il rifugio di S. Maria dell’Adamello, dove potremo scaldarci con una tazza di caffè bollente. Insomma, finalmente dietro all’ultima roccia appare la nostra vera “prima tappa” .
Ce ne stiamo alla finestra a scrutare la parte. Gianni, punta il dito
 [Gianni] Attaccheremo da quella parte: vedi?
 [Tita] Dove?
 [Gianni] Guarda: segui quella lingua di ghiaccio; Vedi appena a destra quello sperone di roccia? Ecco, attaccheremo là.
 [Tita nar] E se ne va. Non riesco a capire come si possa andare su quello sperone tutto liscio e compatto; forse visto da vicino…
Intanto Gianni, che non ha nulla da mettere sul capo, sta chiedendo alla donna del rifugio se per caso lei abbia qualche cosa da prestargli. Qualcosa tipo…
 [Donna] Oh, Berretti non ne ho; se volete ho il mio scialle, vi assicurò che vi terrà molto caldo! Ma quale problema, forza, venite a provarlo!
 [Tita nar] È contenta di poter fare un favore ad un alpinista. Stasera sarà fiera del suo scialle: forse lo appenderà ad una parete e quando qualcuno le domanderà ‘cosa ci fa lì quello scialle’, dirà ‘oh, la parete è il suo posto, perché quello scialle ha scalato la parete Nord’.
Gianni se lo sta provando; carino, sembra una vecchierella.
 [Gianni] Una vecchierella che potrebbe dare del filo da torcere ai migliori scalatori italiani
 [Tita nar] Oh, scusa, permaloso! Be’, effettivamente Gianni, oltre ad essere un amico con cui condivido questa passione, è un accademico del CAI che ha aperto nuove vie sul Bianco francese. Ho con me un compagno eletto, calmo ed entusiasta, sicuro di se stesso; io voglio e devo seguirlo fino alla vetta.
In quel mentre nella stanza entra un sacerdote; dialogo:
 [sacerdote] Buon giorno mattinieri.
 [Gianni] Buon giorno, padre.
 [sacerdote] Venite da Ponte, immagino.
 [Gianni] Sì.
 [sacerdote] E andate alla Lobbia, giusto?
 [Gianni] No. Vorremmo fare la Parete Nord.
 [Tita nar] La parete nord? Il sacerdote ci guarda stupito. Ci dice che da anni la parete non è stata più toccata; che qualche anno addietro una cordata trovò la morte. E aggiunge che la nord è troppo pericolosa, figlioli. Tutte parole che noi fingiamo di ascoltare, tanto che il sacerdote ben presto rinuncia a dissuaderci e aggiunge
 [Sacerdote] Be’ se proprio volete andare vi seguirò nella vostra impresa.
 [Gianni] Vuole venire con noi, padre?
 [Sacerdote] No no no, per carità, vi seguirò da quaggiù con il binocolo e allo scoccare di ogni ora, a partire dalle nove precise, vi farò dei segnali. E magari ogni tanto pregherò per voi…
 [Gianni] Pregherà per noi?
 [Sacerdote] Pregherò per voi..
 [Gianni] Che Dio vi benedica, padre

LIVE

REGISTRAZIONE

[Tita Narra – Vol 100]

E così, partiamo; facciamo di corsa i gradini che dal rifugio scendono al sentiero. Ben presto arriviamo sul ghiacciaio e la neve gelata scricchiola sotto gli scarponi.

[Tita – Vol 0 fade in]

E così, partiamo; facciamo di corsa i gradini che dal rifugio scendono al sentiero. Ben presto arriviamo sul ghiacciaio e la neve gelata scricchiola sotto gli scarponi.

[Tita Narra – Vol 100]

Non avevo mai visto la parete così vicina. Sono preso da un senso di smarrimento e da una più precisa consapevolezza delle difficoltà da superare.

[Tita – Vol 100]

Non avevo mai visto la parete così vicina. Sono preso da un senso di smarrimento e da una più precisa consapevolezza delle difficoltà da superare.

Il narratore si alza dalla sedia e “osserva” Tita che continua a raccontare sulla sedia; ricostruisce la baita

È Giunto il momento di legarsi. Gianni toglie dal sacco qualche chiodo e il martello da roccia;

NAR: Alla Baita del Paio è già mezz’ora che Tita sta raccontando; gli altri, intorno, immobili ad ascoltarlo;

[Tita – il V. segue la narrazione]

fa passare nei loro anelli un cordino che poi stringe intorno alla cintura come un cordiglio da frate. Scioglie la fune e ci leghiamo ai due capi. Ora questa fune unisce due vite in una sola, è l’unica cosa al mondo che potrà salvarci dai  pericoli che ci preparerà la montagna. Infatti passano pochi minuti e la montagna, come se avesse visto che siamo pronti a combattere, comincia a spianare le sue armi contro di noi: un enorme crepaccio ci sbarra la via. Tengo in sicurezza, Gianni si cala fino ad un passaggio sicuro, la corda scorre intorno al mio corpo, poi si ferma e posso scendere anch’io. Passiamo così altri due crepacci prima di arrivare all’attacco dello sdrucciolo di ghiaccio.

Qui c’è il Balilla, a bocca aperta; gli è scappata una risatina per il prete sbigottito e per Gianni con lo scialle da vecchietta, ma questa parte del racconto lo ha come incantato.

Hermann butta un po’ di legna sul fuoco e si gode il suo compleanno;  il Rigo sta scalando la parete nord e non pensa alla sua gamba. Persino i due fratelli, fuori di sentinella… un orecchio alla valle e uno alla storia.

Intanto, nel racconto, Tita e Gianni sono alle prese con i primi crepacci; sono le nove del mattino precise!

Le nove Gianni! Fammi vedere se quel prete è di parola. Eccolo! Eccolo! Lo vedi quel puntino nero davanti al rifugio? Ci saluta, lo si vede appena. Eilà!

La cascina del Paio non dà l’idea di essere un covo di banditi; o meglio, questi banditi hanno l’aria di un gruppo di amici che ascoltano una storia.

Gianni è intento a guardare la grande Muraglia: non la guarda in basso né in alto; sembra che concentri tutta la sua attenzione in un solo punto e che pensi: “Fatto questo, il resto è facile”.

In quel momento a Bagolino e nelle caserme circostanti, più di tremila soldati sono pronti a una grande operazione di rastrellamento per “ripulire” la zona della Corna Blacca e dell’Alto Maniva.

È il momento di cominciare a salire. Gianni avanza finché la corda è tesa, pianta la piccozza, fa passare sopra la corda poi la tira a se un poco alla volta mentre io salgo. Quando viene piantata, la piccozza ferisce la neve ghiacciata e le schegge precipitano a valle come vetri rotti. Con le punte dei ramponi tastiamo bene il gradino prima di reggere tutto il peso del corpo. Scivolare qui vorrebbe dire finire nei crepacci sottostanti.

SS Tedesche, SS Italiane, Alpini Tedeschi, Polizia Verde, Bolzanini, Monterosa, GNR, Guardie del Duce e Brigate Nere: tutti uomini esperti in combattimenti antiguerriglia.

Quando alla neve succede la pietra, alla forte inclinazione del ghiacciaio si sostituisce il quasi verticale piano della roccia. Il contatto con la pietra mi dà ora un senso di maggiore sicurezza ma, guardando più in alto la via che dovremo seguire, penso che fra non molto rimpiangerò il ghiaccio.

Alla Baita del Paio non sanno nulla e Tita continua la sua scalata. Ora sta raccontando uno dei momenti più pericolosi, la caduta dei sassi che arriva improvvisa ed è una delle armi più poderose della montagna

Ora la parete è davvero ripida; è più prudente salire uno per volta.

Mi arriva improvviso l’urlo di Gianni

Sasso! Sasso!

Sento un sibilo acuto e poi uno schianto sulla roccia; d’istinto guardo in alto e vedo

Parla di proiettili, Tita

come delle ombre di proiettili che fischiano verso di noi.

Proiettili che fischiano

Prima che ci colpiscano siamo già al riparo appiccicati alla parete;

Per un Soffio

Gianni mi fa cenno di tacere. Infatti non tarda a giungere una seconda scarica ancora più forte.

I proiettili si frantumano sulle rocce e le schegge lacerando l’aria, mitragliano tutta la Parete. Tengo la testa al riparo sotto uno spuntone e stringo i denti; mi sembra di sentire quelle pietre colpirmi la schiena.

Siamo alle prese con l’artiglieria dell’Adamello, dice Tita e racconta della lunga interminabile attesa, al sicuro, sotto una sporgenza della roccia, con i sibili delle schegge che lo sfiorano e i sassi che si schiantano a pochi metri; aggrappato alla parete senza sapere le sorti del suo amico Gianni; ancora scricchiolii e ancora proiettili; dice che in quel momento gli viene in mente una trincea abbattuta dal fuoco nemico.

La raffica passa a pochi metri da noi, alla nostra sinistra sul canalone ghiacciato.

Un sasso si schianta sopra una roccia a pochi metri; i sibili delle schegge mi fanno istintivamente portare la testa ancora più sotto la sporgenza.

Di nuovo scricchiolii pezzi di roccia ronzano nello spazio… proiettili si spezzano contro la parete con un rumore secco. Una nube di polvere si abbatte su di noi. È una lunga ed interminabile attesa: penso ad una trincea abbattuta dal fuoco nemico. In una guerra verticale.

[Narratore] Il Balilla non ha ancora chiuso la bocca, e tiene gli occhi spalancati, come se riuscisse a sentire meglio il racconto di Tita, Hermann getta una altro ceppo.
 [Tita] Ehi, Celestino! Che fai, non starai pensando alla Vitalina vero?
 [Narratore] Il Balilla dice che non stava pensando alla Vitalina; è solo che non s’immaginava che andare a scalare volesse dire tutto questo. 
 [Tita] Be’, non è sempre così, anzi. Ci sono i momenti in cui ci si riposa e se trovi il posto giusto hai anche modo di goderti il panorama.
 [Tita nar] Noi ci siamo riposati cento metri più in alto, quando abbiamo trovato una piattaforma per sederci. Che poi, chiamarla piattaforma… ci si stava seduti appena. Però sembrava di essere su una poltrona aerea; con le gambe penzolanti nel vuoto, che non le sentivo neanche più, o forse non volevo sentirle perché stavo bene così.
Dopo qualche minuto però ho cominciato a sentire qualcosa; sì, la punta di una pietra che cresceva contro la mia schiena. L’ho tolta, ma passano due minuti ed ecco che comincio a sentirne un'altra. Spostandomi leggermente non la sento più e mi pare di star meglio; ma poco alla volta sorgono su quel terrazzino tante piccole pietre che insistono per farci riprendere la salita.
“È la montagna che ci sta stuzzicando”, mi dice Gianni .
Laggiù alla Malga si vede la mulattiera che sale al rifugio. Forse ora sta salendo qualche comitiva; vanno al rifugio per poi andare al corso di sci sul ghiacciaio della Lobbia Alta. Quando arrivano al rifugio fanno un tale baccano: scrivono quantità enormi di cartoline sporcandole con vistosissime frecce: “siamo saliti qui”, “siamo saliti là”. E poi fanno lunghissime dediche sul registro del rifugio.
Magnifica passeggiata!
Duretta, però!
Si può salire su quella cima?
State qui tutto l’anno, custode?
Che bella vita stare sempre quassù!
E poi cantano, cantano canzoni di montagna e  bevono, e poi cantano ancora e bevono e cantano e bevono finché non si muovono più dal rifugio e saltano il corso di sci.
Quassù nulla è cambiato. Io penso che la vera montagna sia questa, quella che non è permesso a tutti di conoscere, non la montagna all’acqua di rose per i villeggianti di Pontedilegno.
Ah, la schiena. La “vera montagna” ci fa capire che è ora di ripartire.
Gianni mi ha fatto il resoconto della tabella di marcia: i dati sono incoraggianti. Siamo circa a un terzo della parete. Di questo passo verso le cinque siamo in Vetta,
alle sette in Brizio, ed alle undici di ritorno a Ponte. Sarebbe un record assoluto. Ma con la montagna, mi ha detto Gianni, non bisogna fare troppi calcoli, semmai bisogna farci i conti. Adesso Gianni mi guarda con aria interrogativa.. come a dire “E allora?”
 [narratore] In un pomeriggio d’estate del 1942 Tita e Gianni stanno per affrontare la parte più difficile della scalata. “E allora partiamo” sta per dire Tita.
“E allora partiamo dissi a Gianni” sta per raccontare due anni dopo ai suoi compagni attorno al fuoco Tita Secchi, un ragazzo di ventotto anni con il cappellaccio in testa e la barba d’oro, alla Baita del Paio sono le 10 della sera del 25 Agosto del 1944.
Proprio in quel momento Giordano, Dino e il Bresa corrono verso il paese, aveva una brutta ferita il Rigo era da disinfettare, corrono nel bosco e saltano tra sassi e foglie umide e sentieri nascosti nel buio e forse si stanno dicendo ‘è incredibile quanta strada si faccia di notte senza avvedersi della fatica’.
Nella caserma di Bagolino intanto tutto è pronto per il rastrellamento, tremila soldati aspettano solo le parole del comandante “e allora partiamo”.
Proprio in quel momento Charles De Gaulle sta a una finestra dell’Hotel de Ville, guarda la Senna, e la sua Parigi liberata, mentre a Rastenburg Hitler con i suoi gerarchi e il cane Blondie e tutta la tana del lupo vengono avvolti dalla nebbia.
Proprio in quel momento Wiston Churchill a Montemaggiore si prepara a dare il via alla battaglia decisiva, prevista per quella notte stessa… manca solo il suo ordine, “e allora partiamo”.
Silenzio. È la calma densa di attesa che precede la tempesta.
Perché c’è sempre un momento in cui qualcuno dice “e allora, partiamo”, e dopo quel momento le cose iniziano ad accadere e non si torna più indietro. Ma prima per un attimo tutto rimane sospeso, non fermo. è sospeso il tempo in caserma a Bagolino è sospeso a Montemaggiore intorno a Churchill, è sospeso alla baita del Paio e anche sulla parete..
Adesso Gianni mi guarda con aria interrogativa.. come a dire “E allora?”
 [Tita] E allora partiamo, Gianni.
 [Tita nar] Quando riprendiamo la salita sento le braccia indolenzite, ma poi il movimento riscalda i muscoli e il dolore scompare;
Ora Gianni è scomparso dietro ad una sporgenza della roccia. La corda si ferma, poi risale e scende di nuovo allo stesso punto.
Sento un tintinnio di ferri, seguito da un colpo di martello. Un altro colpo, poi un altro; Gianni sta piantando un chiodo; chissà che passaggio difficile, mi dico.
Era la prima volta che dovevo affidare la mia esistenza a un chiodo e non potevo evitare di essere emozionato. Gianni mi ha detto molte volte che quando la corda passa attraverso un chiodo si è sicuri; se uno scivola l’altro lo trattiene; ciononostante all’atto pratico mi trovavo un po’ emozionato.
Adesso la corda si muove, riprende a correre in fretta:  Gianni la sta tirando tutta e ciò significa che ora tocca a me. Trattengo il respiro, tasto con le dita la roccia, l’afferro e salgo.
Il mio pensiero è sempre al chiodo che Gianni ha fissato. Sta diventando il mio chiodo fisso.
Piccolissimo chiodo che sostieni due giovani vite / abbi pietà di noi!
Piccola fessura della roccia / serra entro di te quel minuscolo ferro!
Screpolature nella pietra dove le nostre mani si aggrappano / sosteneteci!
Sacerdote del rifugio, ora è il momento di pregare per noi, e anche tu, S. Maria dell’Adamello, prega per noi!
Naturalmente, se sono qui con voi accanto al fuoco, significa che le mie preghiere sono state esaudite.
Appena girata la sporgenza scorgo Gianni; è fermo davanti a un tratto di montagna chiaro e liscio. Qui probabilmente cadde la cordata di cui ci parlava il prete. Guardando l’orrido strapiombo sotto di noi, non posso fare a meno di pensare ai loro corpi scaraventati a valle che rimbalzano su ogni sporgenza della parete ed infine sono ingoiati dalle bocche aperte dei crepacci laggiù in fondo sul ghiacciaio. Un appoggio mancato? Una mossa sbagliata? Un attimo di indecisione? Un tranello della Montagna? Nessuno sa nulla e nemmeno si saprà mai. Si sa solo che avevano lasciato il rifugio molto prima dell’alba, al chiarore incerto di una lucerna. Erano partiti con in cuore l’avidità di salire, la brama di una conquista. Si erano legati: avevano affidato le loro esistenze alla corda di canapa che uguaglia la sorte di tutti gli scalatori. Alle prime luci del giorno dal rifugio non si vedevano più. Dopo tante ricerche avevano trovato i loro corpi nei crepacci sotto la parete omicida; avevano riportato a valle quei miseri resti; poi al rifugio, nelle malghe e nelle baite aveva ripreso la vita consueta.
 [narratore] Dino, il Bresa e Giordano sono quasi giunti a Bagolino. Poco prima di raggiungere il paese si trovano di fronte le avanguardie delle truppe tedesche partite per l’imboscata. Non vengono visti e tornano indietro di corsa per avvisare i compagni; si dividono, è Giordano ad andare su alla cascina del Paio. Deve correre, correre, correre, e salire alla cascina prima dei tedeschi.
 [Tita nar] Saliamo ancora. Forse è l’immagine che mi sono fatto di quei poveri alpinisti che mi è rimasta dentro, o forse solo mancanza di allenamento, ma salendo sento che le mani cominciano a farmi male: sulla roccia fredda le dita mi sembrano legate, non tengono più bene l’appiglio.
Stiamo affrontando la seconda placca, che è molto più difficile della prima. Ora anche la nebbia ci si mette; tutte queste difficoltà mi mettono addosso un senso di tristezza: vorrei non avere più davanti agli occhi questa eterna muraglia che lotta contro di me, vorrei vedere qualche cosa di diverso. Ecco, vorrei vedere qualche cosa di orizzontale davanti a me e poter correre, saltare. Sento le mani indolenzite, ma so che è l’ultima fatica, perché dopo la seconda placca la vetta sarà vicina.
Le mani tastano la roccia
cercando qualche appiglio:
ecco che lassù hanno scoperto una rugosità
a cui si possono aggrappare.
Cerco di tirarmi su,
ma una violenta fitta agli avambracci
mi chiude le mani.
Resto appoggiato alla parete solo con i piedi:
un fortissimo dolore mi prende gli avambracci
i cui tendini restano fortemente tesi.
Batto disperatamente i pugni
contro la roccia,
porto le mani vicino alla bocca
per riscaldarle con il fiato,
le metto in tasca,
ma non si aprono.
Temporeggio ancora
ansimo
il cuore mi gonfia la gola
del suo battito
e sono costretto ad avvisare Gianni.
Gianni! Crampi alle mani!
Poco alla volta il dolore diminuisce
e le mani mi si aprono.
Tento ora di salire
arrampicandomi di nuovo lungo la corda
e camminando sulla roccia.
Sono tutto teso nello sforzo
quando un altro violento crampo mi chiude una mano:
con l’altra resto appeso alla corda,
i piedi non appoggiano più sulla parete;
le scarpe grattano qua è là senza trovare nulla:
sono sospeso con una sola mano.
Cerco di aprire
con i denti
le dita dell’altra mano…
batto
di nuovo
disperatamente
il pugno contro la roccia…
la frego contro i calzoni…
ma niente:
la mano è stregata,
non esegue più gli ordini;
in quella posizione non posso resistere,
sono prigioniero di me stesso.
Ora non riesco nemmeno a gridare,
ho la gola secca,
la bocca senza saliva,
sono sudato ed ho freddo,
tremo,
le mascelle strette come una morsa,
trovo la voce per gridare
Gianni! Cado! Tieni forte!”
La presa mi sfugge,
scivolo sulla placca
e cado  .
Mi sento ridicolo appeso alla corda nel vuoto; le mani chiuse inutilizzabili e doloranti. Mentre Gianni mi cala al punto di partenza penso a quel prete che prega per noi, agli scalatori uccisi dalla montagna, ai chiodi, a questa corda che mi ha salvato.
Gianni mi raggiunge, mi massaggia le mani; a poco a poco la morsa si allenta e le mani si aprono. Le lascio riposare per quasi un’ora.
Non so se me la sento di riprendere, ma sta venendo buio, abbiamo poco tempo, non abbiamo scelta. Forza Gianni, ripartiamo…
 [narratore] Quando Giordano arriva a dare l’allarme è troppo tardi; la zona è circondata e già si sentono i colpi di mitra dei tedeschi. Il Balilla è rimasto dentro alla baita, a cercar riparo e con lui, aggrappato alla feritoia, il Rigo chiede disperato cosa fare. La siepe di fuoco si accavalla, si ispessisce. I fratelli Franchi d’un balzo aderiscono alle rocce, strisciano di fianco su per un erto canalone assieme a Giordano e si salvano arrampicandosi col fiato tutto in gola, in silenzio fino allo spasimo, in vetta alla Corna Blacca. Salvi!
Sotto di loro si sta chiudendo il cerchio, la baita viene frugata da un lanciafiamme.
Hermann è riverso, scalzo, in pace con se stesso; regalo di compleanno dei suoi connazionali.
Il Rigo ha finito di sopportare il morso del pus nella sua gamba: i fascisti lo hanno freddato con un colpo di moschetto. E’ rimasto solo il Balilla nella baita, si nasconde, ma quando vede che puntano il fucile alla testa del suo amico, ma quando sente lo sparo, non riesce a trattenere un urlo. Il piccolo poeta, si ricorderà quei momenti per tutta la vita e un giorno scriverà una poesia:
 [Celestino] Giovine martire ed Eroe!
Di nome tuo Amerigo.
Che strazio al cuore mio
Quando quel vile
Ti puntò alla testa l’arma.
A nulla valse il mio dolor di grido,
il sangue tuo bagnava la tua amata terra
ed io udii il tuo ultimo respiro,
nel dolor hai mosso le tue labbra
e un grande nome uscì affievolito,
ricordo, ben tre volte chiamasti d’aiuto: MAMMA
Ma udir tua voce fui io e le tue rocce,
con lagrime ti salutai compagno mio,
mentre il tuo corpo giaceva inerte
col viso rivolto verso il cielo
… e quasi buio si fece ad onor tuo.
Ti lasciai forzato dall’arme del nostro nemico
A piedi scalzi e spalle cariche di mitra e moschetti,
ch’avevan trovato quei luridi,
nostro bottin di guerra.
I fucili puntati spingono giù per la mulattiera il Balilla intontito, stravolto, muto.
In fondo al pietrisco e ai cespugli un altro branco si stringe addosso a un uomo. Dice di chiamarsi Franco, di essere un boscaiolo. Non gli credono; pare che gli abbiano trovato un foglietto intestato alla Brigata Perlasca, oppure qualche spione ha parlato… “quello non si chiama Franco, è Tita Secchi”… qualche spione c’è sempre, in montagna e in pianura, in guerra e in pace.
Nei giorni successivi lo scarrozzano tra la Val Sabbia e la Val Trompia; legato su un camioncino deve gridare ad un megafono ai suoi compagni di arrendersi. Per quindici giorni viene sospinto dai suoi aguzzini lacero, scalzo, affamato, a ripercorrere i sentieri delle due valli per indicare dove si trovano i superstiti nuclei ribelli.
 [soldato] Dove si trovano i superstiti nuclei ribelli? Schht. Dove?
 [Tita nar] Con le mani coperte da due paia di guanti ricomincio a salire. Ad ogni piccola fessura mi appoggio con i piedi e mi fermo per lasciare riposare un attimo le mani. Mi trovo ora a metà placca, Gianni non dista da me che quindici metri. Un ultimo sforzo ed eccomi da lui.
 [Narratore] Dopo aver rinunciato a ottenere da quel ribelle qualche informazione, i tedeschi lo condannano a morte e lo rinchiudono nella Caserma del 30° Reggimento Artiglieria di Brescia, in via Fratelli Ugoni.
 [Tita nar] Con gran sollievo vedo che la vetta non dista più di settanta metri, che la via per raggiungerla non offre più ora serie difficoltà, e che anche la cornice non è alta e non sporge in fuori. Percorriamo in fretta, senza fermarci, la distanza che ci separa dal terrazzino sotto la cornice. Una muraglia quasi verticale di neve ghiacciata, alta cinque metri, ci separa ora dalla Vetta.
 [Narratore] L’ultimo disperato tentativo di salvare Tita dal supplizio lo compie suo padre il quale, informato dell’accaduto, tenta di far rilasciare il figlio offrendo ai tedeschi 2 milioni di lire in oro e moneta.
 [Tita nar] Provo l’impressione che questa cornice non sia parte integrante della parete, ma piuttosto una piccola parete messa lì a caso sulla grande Parete. Gianni fissa la piccozza nel ghiacciaio all’altezza di due metri, vi sale, si raddrizza, si apre un passaggio gradinando ed è in Vetta.
 [Narratore] Tita fa sapere che insieme a lui devono essere salvati anche i compagni; “o tutti, o nessuno”; il comandante tedesco ha paura di esporsi troppo, ci ripensa, decide di far eseguire la sentenza.
 [Tita nar] Con in cuore la febbre di trovarmi accanto a Gianni sulla cima, salgo deciso lungo i gradini, tolgo la mia piccozza fissata da Gianni, punto le mani sull’ultimo tratto di ghiaccio, mi tiro su sveltamente  e mi trovo in piedi contro il cielo, a viso a viso con un altro cielo!
Sotto di me si apre l’altro lato della montagna, il Piandineve ed il Corno Bianco sono semiavvolti nell’oscurità, tutte le altre vette circostanti sono nascoste dalla nebbia.
Eppure questa mattina, salendo nel bosco, immaginavo ben diverso l’arrivo sulla Vetta. Immaginavo un arrivo lirico, in un tramonto radioso nel quale noi avremmo ammirato la Valle Camonica già immersa nell’ombra ed esultanti per la vittoria, ci saremmo abbracciati.
Invece il vento soffia sempre più forte e qualche chicco di grandine sottile ci punge il volto come ad avvisarci dell’imminente bufera .
[Prima diapositiva]
Il 16 settembre 1944,
alle ore 6 del mattino,
un mitra sbrana il silenzio
al 30° Artiglieria…
buio
[Seconda diapositiva]
e Brescia si sveglia
per ritrovarsi
nel suo sudario di paura
buio
[Terza diapositiva]
Un plotone d’esecuzione
aveva fucilato sei partigiani
buio
[Quarta diapositiva: i nomi, uno per volta, in dissolvenza]
Paolo Maglia - Pietro Albertini - Santo La Corte - Luigi Ragazzo - Emilio Bellardini - buio
[Quinta diapositiva]
e Tita Secchi
   seguono diapositive di Tita Secchi in montagna, con sottofondo “La storia siamo noi” di Francesco De Gregori.
...piatto di grano .